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martedì 20 ottobre 2015

Giuseppe Ungaretti, parla delle sue terre avite.

Ho riletto per diletto alcune poesia di Giuseppe Ungaretti, poeta, figlio di emigranti lucchesi e nato in Egitto. Due delle poesie che ho letto parlano delle terre dei suoi avi e hanno sollecitato la mia "attenzione"
Le trascrivo per un comune ricordo

 LUCCA 

A casa mia, in Egitto, dopo cena, recitato il rosario, mia madre
ci parlava di questi posti.
La mia infanzia ne fu tutta meravigliata.
La città ha un traffico timorato e fanatico.
In queste mura non ci si sta che di passaggio.
Qui la meta è partire.
Mi sono seduto al fresco sulla porta dell'osteria con della gente
che mi parla di California come d'un suo podere.
Mi scopro con terrore nei connotati di queste persone.
Ora lo sento scorrere caldo nelle mie vene, il sangue dei miei morti.
Ho preso anch'io una zappa.
Nelle cosce fumanti della terra mi scopro a ridere.
Addio desideri, nostalgie.
So di passato e d'avvenire quanto un uomo può saperne.
Conosco ormai il mio destino, e la mia origine.
Non mi rimane che rassegnarmi a morire.
Alleverò dunque tranquillamente una prole.
Quando un appetito maligno mi spingeva negli amori mortali, lodavo
la vita.
Ora che considero, anch'io, l'amore come una garanzia della specie,
ho in vista la morte.


VIAREGGIO

Viani
sarà bella la pineta
ma come ci si fa a dormire
con tanti moscerini e tante cacate




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